La mozzarella di bufala

La mozzarella, definita anche oro bianco o perla della cucina, si presenta nella sua versione più pregiata quando è prodotta dal latte delle bufale allevate nella regione Campania. Soprattutto nelle aree lungo la costa che un tempo erano acquitrinose, quindi poco adatte all’allevamento dei bovini ma habitat ideale per questi animali dal mantello nero che si dice siano stati importati, prima in Sicilia e poi in Campania, dagli Arabi impegnati a colonizzare l’intero Mediterraneo.

Un formaggio venduto ai pellegrini
Il termine mozzarella deriva dalla parola “mozza”, abbreviazione di mozzare, tagliare una grande forma di formaggio filante in tante piccole parti dalla forma tondeggiante. Una tecnica che si usa anche per produrre il provolone. Questo formaggio viene però fatto stagionare mentre la mozzarella si mangia fresca, anzi, freschissima.
I primi a produrla furono i Monaci che nel XII secolo risiedevano nei conventi costruiti sulle colline che sovrastavano le zone paludose della Campania. Questi monaci lavoravano il formaggio subito dopo la mungitura e lo trasformavano in piccole forme rotonde facili da trasportare in tutta fretta nelle celle dei loro monasteri. In questo modo evitavano di restare a lungo tra gli acquitrini di pianura con il rischio di prendere malattie come la malaria.
La mozzarella non era però destinata alla maturazione come il provolone e veniva dunque rapidamente consumata nei conventi oppure venduta ai pellegrini di passaggio, che contribuirono a far conoscere questo formaggio particolare, cremoso e ancora carico di latte fresco, anche in altre regioni confinanti.

La mozzarella in carrozza
Nel XVIII secolo le mozzarelle “scendono a valle” grazi alla realizzazione, da parte della nobile famiglia dei Borboni, di un grande allevamento allora considerato modernissimo, con stalle riparate e una buona alimentazione degli animali, dotato anche di un grande caseificio ben organizzato proprio riservato alla produzione di mozzarelle, che alla mensa di Corte era molto apprezzata.
Si iniziò a commerciarla su larga scala con lo sviluppo dei trasporti, avvolta in foglie di giunco o di altre erbe capaci di conservarne per un po’ la freschezza e il sapore. Quella che non riusciva ad essere consumata fresca, veniva fatta scaldare tra due fette di pane passate prima nell’uovo e nel latte e poi fritte. Era nato così un piatto napoletano chiamato “mozzarella in carrozza”.

Non va servita fredda
Il consiglio è quella di mangiarla il giorno in cui viene acquistata, altrimenti va conservata in un luogo fresco e immersa nel suo liquido. Se messa in frigorifero, bisogna tirarla fuori con almeno un paio di ore di anticipo prima di riportarla in tavola. Perché va sempre servita a temperatura ambiente e mai fredda.

Il vino giusto
Vino bianco Fiano di Avellino, tipico della regione Campania, ma anche il Soave del Veneto, Il Trebbiano d’Abruzzo e anche Prosecco Extra Dry.