Baccalà alla vicentina

Il baccalà alla vicentina
È un piatto di pesce che nella cucina della regione Veneto è presente da oltre 500 anni. I cuochi che hanno saputo dare maggior valore sono stati quelli della città di Vicenza, con la ricetta del “baccalà alla vicentina”, ma è proposto anche in altre parti della regione dove si può dunque parlare di baccalà alla veneta. In cui ci sono piccole variazioni di ingredienti, mentre quelli base come latte, cipolla, formaggio grattugiato, rimangono invariati.

Le differenze nella conservazione del merluzzo
Nella tradizione culinaria italiana il baccalà è il merluzzo salato subito dopo essere stato pescato, per favorirne la conservazione. Il nome deriva da baccaleos, come chiamarono il prodotto i pescatori della costa Basca, a nord della Spagna, sull’Oceano Atlantico. I Baschi andavano a pescare il merluzzo fin nei banchi di Terranova, a su est della omonima isola canadese. Lo stoccafisso invece è il merluzzo che antiche popolazioni mettevano ad essiccare al vento gelido delle loro isole del nord Europa, fino a farlo indurire come un bastone, chiamato stockfish, da cui è derivato il termine italiano.
Una precisazione va subito fatta. Nel Veneto i nomi si sono confusi. Per baccalà infatti si intende, in questa regione, quello che nel resto d’Italia si chiama stoccafisso. Perciò se ordinate per i vostri ospiti baccalà alla vicentina o alla veneta, sappiate che si tratta di quello essiccato al vento del nord e, all’origine, duro come un pezzo di legno (cosa, questa, sempre gradita ai commercianti perché era più facile trasportarlo, accatastato nelle stive delle navi).

Un'avventura tutta italiana
La storia dice che nell’anno 1432 la nave del nobile veneziano Piero Querini, carica di mercanzie orientali da commerciare nei Paesi del nod Europa, fece naufragio nell’atlantico e solo 12 dei suoi 57 marinai riuscirono ad arrivare, con una scialuppa, nelle isole Lofoten, nel nord-est della Norvegia. Dove già da secoli i pescatori locali appendevano su pali di legno il merluzzo per farlo seccare, per consumarlo poi in casa ma anche per venderlo ai soldati e ai commercianti che si spingevano fino nel centro dell’Europa. In maniera avventurosa il nobile Querini riuscì a tornare, anni dopo, a Venezia, portandosi dietro una scorta di stoccafisso. Il pesce, sotto questa forma, non ebbe però grande successo, anche perché i Veneziani, soprattutto quelli nobili e ricchi, preferivano consumare quello fresco, appena pescato nel mar Adriatico. Ad aiutare la diffusione dello stoccafisso intervenne involontariamente, nella metà del 1500, il Concilio di Trento, città nel nord Italia. Fu una importante riunione (che durò 18 anni) di tutti i vescovi cattolici del mondo per discutere i problemi della Chiesa Cattolica, con la speranza di riconciliazione con i protestanti.  Nel Concilio, tra le varie regole, venne deciso che i cattolici dovevano evitare di mangiare la carne per almeno un giorno della settimana, il venerdì. Così il pesce prese il posto della carne e fu possibile venderne di più. Ma mentre i nobili potevano continuare a mangiare il pesce fresco, le popolazioni dell’entroterra dovevano far ricorso a quello secco. Così lo stoccafisso trovò nuove occasioni di commercio e di diffusione nelle cucine della gente di campagna.

Il vino giusto
Vini bianchi delle regioni del Nord Est italiano, come Soave, Lugana, Pinot Grigio, Sauvignon, o anche rossi di media intensità come il Lagrein del Trentino Alto Adige  e  il Rosso di Montalcino e  il Rosso di Montefalco, entrambi toscani.

  • 28 Ottobre 2016
  • in: Secondi
  • by Franco Faggiani